E qui è descritta l’ignoranza, la vanità, l’impostura, la sfacciataggine, la ribalderia di un retore, che, se non è Polluce, rassomiglia certamente a molti retori di quel tempo: la pittura è dal vivo, però è vera ed efficace, ed un’acre ironia la rende più rilevata. La finzione delle due vie era comune ai Greci, e ricorda l’Ercole al bivio di Prodico, e le due donne del Sogno.
Luciano anche quando si lascia trasportare dallo sdegno, non dimentica mai l’arte, e parla con quella gentilezza che l’arte ha renduta abituale in lui: il che non si vede nei due scritti intitolati: Contro un ricco ignorante che comperava molti libri,(17) ed il Conto senza l’oste, o contro Timarco; i quali non hanno nè arte nè gentilezza, non sono satire ma invettive furiose e verbose, nelle quali non si scorge nulla che possa farne credere Luciano autore, ma sì qualche arrabbiato scrittore, non egli sempre ridente e piacente.
LIII. Passiamo ora alle opere satiriche che hanno forma di dialogo.
Bellissimo il Lessifane, mette in canzone uno di quei saccentuzzi che vanno spigolando le parole più antiquate e storpiate, ne compongono le più sperticate, raccolgono dal popolazzo i modi più fangosi, e per parere gentili riescono goffi. Luciano non si sdegna affatto, ma si piglia spasso di questi scrivacchiatori, e ce ne presenta uno, il quale gli legge un suo dialogo, in cui crede di sgarare il convito di Platone, o come ei dice, anticonviteggia al figliuol d’Aristone, piacevolissima caricatura che non può mai esser tradotta bene.
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