Luciano cerca di ricondurli al loro costume antico; e forse anche vuole mostrare ai barbari, che spregiavano quegli esercizi come giuochi di fanciulli, che con queste arti i Greci seppero difendere la loro libertà, acquistar gloria e potenza. In ultimo, egli fa dire da Solone allo Scita: Se a te non finisce di piacere quanto io ti ho detto del modo onde noi Greci educhiamo i giovani, dimmi come li educate voi altri Sciti, in quali esercizi li esercitate per farli diventare uomini valenti (cap. 40). Le quali parole, come a me pare, sono indirizzate a tutti gli altri popoli e Sciti, e Galli, e Romani, e Germani: se voi ci biasimate, dite che sapete voi fare di meglio. Il modo onde è trattato questo argomento è bello e conveniente. Due savi ragionano tra loro: Solone greco dice parole gravi di sapienza civile, ed ornate di lepore ateniese: Anacarsi scita discorre col senno naturale, e con certa baldanza propria d’un barbaro; rispetta Solone, e sebbene non si persuada interamente, pure lo ascolta per imparare, e sempre lo ammira. Dialogo bellissimo, e degno di Platone per la materia e per l’arte.
LXIV. Il Ballo è un dialogo di molta erudizione, ma di non molto giudizio. Per lodare il ballo si dice che ei nacque con Amore generatore dell’universo, e stette prima tra i pianeti su le sfere, e poi discese su la terra, dove tutti i popoli l’accolsero come cosa bellissima e piacevolissima. Nella guerra, nelle feste religiose, nella tragedia, nella commedia si adopera il ballo. Poi dal ballo si passa alla Mimica ed ai mimi, e si loda quest’arte, e si discorre delle qualità che deve avere il buon mimo.
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