Si crede dagl’interpetri che qui sia confusione, che si salti da una cosa ad un’altra: ed a me non pare. Imperocchè la mimica non è altro che ballo, direi quasi intelligente, rappresenta qualche cosa coi gesti e i movimenti del corpo. Ballo senza rappresentazione, solo dimenamento di persona, non è cosa d’arte, e non poteva essere soggetto di lode e di discorso. È vero che ora, come tra gli antichi, si distingue il ballo dalla mimica, ma è vero ancora che con la parola ballo ora s’intende, come s’intendeva, l’una cosa e l’altra. E però non mi pare che si confondano cose che sono strettamente unite tra loro, e che parrebbero meno diverse se la forma fosse più corretta, e se il trapasso dall’una all’altra fosse più facile. La poca correzione della forma, e la farragine delle notizie, che pure non ci danno un’idea compiuta dell’arte mimica degli antichi, fanno dubitare se questo dialogo sia di Luciano: vi manca la sobrietà, la schiettezza, il senno, e le grazie che sono nelle opere genuine.
LXV. Il Caridemo ed il Nerone ultimi di tutte le opere, non appartengono a Luciano, neppure secondo il giudizio dei copisti: perocchè in fine del primo sta scritto in greco: Nè questo pare di Luciano; ed in capo del secondo è scritto: Se genuino.
Il Caridemo contiene tre discorsi su la bellezza, e non v’è dialogo men bello di questo, povero di pensieri, e di arte, e scorretto di lingua. A molti dotti uomini, fra i quali al Gesnero, pare una esercitazione scolastica e quasi puerile, un cattivo raffazzonamento del panegirico d’Isocrate in lode di Elena.
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