Giove, supremo senno, sa che quella villania non fu detta col cuore, e che Timone dentro è un uomo dabbene. Questo è il significato del ragionamento che fanno Mercurio e Pluto andando per via. Giungono a Timone che zappa, e vicino gli sta la Povertà con la Fatica, la Robustezza, il Senno. Mercurio comanda alla Povertà di andar via, ed ella malvolentieri vassene con la sua schiera. Si avvicinano a Timone, che da prima vuole cacciarli a sassate: ma a poco a poco con le buone parole gli fanno capire che la colpa è stata sua, a dare la roba a cani e porci, profondendola agli adulatori ed alle cortigiane: ubbidisca a Giove, che lo rivuole ricco. Si persuade e ubbidisce. Pluto comanda al Tesoro nascosto sotterra di lasciarsi pigliare, e se ne vanno. Timone con la zappa cava, e rinviene un tesoro maggiore di quelli di Mida, di Creso, del tempio di Delfo, del re di Persia. Consacra la zappa e il pelliccione a Pane, si compera il podere dove ei lavora, e vi costruisce una torre dove vuole abitare solo e lontano dagli uomini, ed esservi sepolto. Rifatto ricco, rinunzia all’umano consorzio, rompe ogni patto con gli uomini, si propone di fare tutto il male che ei può, ed essere il nemico del genere umano. Se vedo uno che è caduto nel fuoco, e mi prega di aiutarlo, io gli getterò olio addosso; uno che è nell’acqua, e mi prega di porgergli una mano, io ve l’attufferò e lo terrò sotto. Vorrebbe che tutti sapessero la sua nuova ricchezza acciocchè ne avessero dispetto. Ed ecco tutti la sanno, e corrono a lui parassiti, adulatori, retori, filosofi: specialmente un retore che già ne aveva avuti dodici talenti, e poi l’aveva sconosciuto, ed ora gli fa il parente, e gli porta a leggere un decreto che ei proporrà al popolo, nel quale Timone sarà dichiarato capitano d’eserciti, vincitore d’Olimpia, ottimo retore, e tutto.
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