Timone con la zappa te li concia tutti quanti, e li manda storpi. Corrono altri; Timone piglia i sassi; quelli dicono: Non scagliare, chè ce n’andiamo — Voi non ve ne anderete senza sangue e senza ferite. E con le sassate finisce il dialogo.
Chi è questo Timone? È egli forse quel tristo, nemico e spregiatore degli uomini, che visse in Atene al tempo di Alcibiade, e che una volta venne in piazza e disse: Cittadini, io ho nell’orto una ficaia a cui molti si sono impiccati: se vi si vuole impiccare qualche altro, faccia presto, perchè io la voglio tagliare? Ma questi non fu mai uomo dabbene: Luciano stesso nella Storia vera (lib. 2, cap. 31) lo pone a custode nell’isola degli empi, e Cicerone nel libro De Amicitia ne parla come di un tristo che contro gli uomini vomebat virus acerbitatis suæ. Non si sa che egli avesse trovato un gran tesoro, e che fosse stato un riccone e gran prodigo. Per qual cagione adunque Luciano lo fa diverso da quello che fu? Se intendi che sia il vero Timone, questo dialogo è serio, non satirico; ed il suo concetto non è nè bello nè vero, perchè un gran ricco, che impoverito per molto spendere accusa Giove della sua sciocchezza, e rifatto ricco odia gli uomini con un’acerbità crudele; e minaccia stragi e sangue, non è ridicolo, ma pazzo scellerato. Il dialogo non sarebbe secondo la natura di Luciano, il quale, come Menippo, ride sempre, gelai d'aei, e motteggia, e qui getterebbe fuori un veleno rabbioso senza scopo di arte, e contro la ragione di tutte le altre sue opere.
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