Pensomi adunque che questo Erode sia il Timone di Luciano. Egli fiaccato dal dolore, e ritirato nella solitudine, forse diceva, come tutti gli uomini della sua tempra, che egli odiava tutti, perchè tutti erano tristi ed ingrati; si credeva divenuto un Timone, un nemico degli uomini, e non era, nè poteva esser tale: ma nello sforzo di divenire un Timone sta appunto il ridicolo che Luciano ha saputo cogliere ed esprimere sì bene. Quell’odio suo irragionevole era ridicolo quanto la sua amorevolezza sconsigliata; e pero l’uno e l’altra sono derisi, ma con quella moderazione, e direi quasi con quel rispetto che si deve alle debolezze d’un uomo dabbene. Tu non l’odii questo Timone, ma l’ami, e ne ridi. Inoltre i particolari della vita d’Erode corrispondono a quelli del dialogo. La legge che Timone fa a sè stesso nella forma solenne di pubblico decreto è pur ridicola, perchè può ricordare i tanti decreti fatti in onore d’Erode da un popolo misero e servo: quell’ingrato retore che gli presenta il decreto può essere anche il discepolo Teodoto: quel dichiararlo ottimo capitano, è un allusione al suo consolato; ottimo retore è una lode vera e meritata: quell’ira poi, quei colpi di zappa, quelle ferite, quel sangue per eseguire la strana legge, non fanno male a nessuno, perchè sono fantasie d’un uomo che aveva fatto sempre bene in vita sua, e non avria ammazzata una pulce. E forse è consiglio di Luciano, il quale gli dice: Se tornano a te quei furfanti di retori e di filosofi per venderti le loro corbellerie ed adulazioni, piglia una mazza e cacciali; chè se prima avessi fatto così, non avresti avuto tante noie.
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