Insomma io credo che questo dialogo non abbia alcun senso, alcuna bellezza d’arte se rappresenta il Timone vero: mi pare che Luciano sotto il nome di Timone rappresenti Erode, che egli dovè conoscere in Atene, e udirlo e stimarlo, e poi riderne, egli che rideva di tutti, e spesso anche di sè stesso. Se questa congettura non piace, si trovi di meglio.
LXVII. Seguono la Vendita e il Pescatore, due dialoghi strettamente uniti tra loro che dal Weise e da altri sono tenuti spurii ed inetti;(20) ed io per me li credo non pure genuini, ma bellissimi, e tra i capilavori di Luciano: ed allegherò le ragioni di questo mio credere. Quando io leggo un’opera di Luciano, io dimando a me stesso primamente, se essa è consentanea o almeno accordabile al concetto comune che si ha di Luciano, cioè d’un uomo d’ingegno e di senso retto che derise i vizi e gli errori del suo tempo con un lepore ed una grazia che lo han renduto immortale: e poi dove, e quando e perchè l’opera potè essere scritta. Così cerco di trovare la ragione dello scritto nella storia, e di fare, come si suole in pittura, il campo intorno all’immagine per vederla più chiara e rilevata. Ora leggendo la Vendita ed il Pescatore non si può dubitare affatto che essi furono scritti in Atene: la quale città era un formicaio di filosofanti che parlavano e disputavano in ogni tempo, in ogni luogo, e di ogni cosa. Quattro scuole secondo le sètte principali degli stoici, degli epicurei, dei platonici, e dei peripatetici, erano state fondate o ristorate da Marco Aurelio, che a ciascuna aveva assegnato un maestro con ben grossa provvisione.
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