Lasciate che li chiami io, dice Parlachiaro, e vedrete. Tutti quelli che si tengono filosofi, venite qua; c’è distribuzione, due mine per uno, focacce, e dolciumi. Corrono, s’arrampicano, s’affollano, s’aggruppano, e ronzano come pecchie, si urtano, si bisticciano; ma come odono che si tratta di provare se sono buoni filosofi, spulezzano tutti: nella bisaccia caduta ad un cinico trovano oro, dadi, e galanterie. Sono fuggiti, non si può giudicarli, come si ha a fare per distinguere i buoni dai tristi? Manderemo Parlachiaro pel mondo, ed egli con la Pruova li conoscerà e metterà una corona in capo ai buoni, e marchierà in fronte i tristi con un ferro rovente. La pruova sarà questa, dice la Filosofia. Presenta oro, gloria, piaceri: se vi guardano senza curarsene, sono veri figliuoli d’aquila: se vi fan l’occhio d’amore, sono bastardi. Questa pruova è facilissima, e possiamo cominciarla da qui, dice Parlachiaro. Sacerdotessa, dammi la canna del pescatore, e un po’ d’oro, e fichisecchi per inescar l’amo: caliamolo in mezzo la piazza: ve’, ve’ quanti pesci vi corrono: eccone uno preso: è tua questa bestia, o Diogene? e quest’altra, o Platone? e questa, o Crisippo? Noi non li conosciamo. Dunque giù dalla rocca. Dopo questa pesca piacevolissima, la Filosofia dice a Luciano: Vattene pel mondo con la Pruova, e corona o marchia come t’ho detto.
Questo dialogo è un vero dramma, ha movimento ed azione più di tutti gli altri, e si potrebbe proprio rappresentare. I motti, i frizzi, le piacevolezze sono versate a larga mano, e non ti stancano, anzi ti rallegrano sino all’ultimo.
| |
Parlachiaro Parlachiaro Pruova Filosofia Parlachiaro Diogene Platone Crisippo Filosofia Luciano Vattene Pruova
|