Vendere i filosofi è un’acre beffa certamente, ma almeno i venduti sono considerati come persone, e non perdono la loro qualità umana; ma pescarli nella piazza di Atene è una terribile satira, è considerarli come le ultime delle bestie che non hanno neppur voce. Luciano ha un giusto sentimento di sè stesso, assume l’ufficio di frustare gl’impostori, e lo adempie mirabilmente con una fantasia, un ardire e con un senno insieme ed un’arte che ha pochi pari, e che dimostra un grande ed originale scrittore. Non è un argomento per negare che questi dialoghi sieno di Luciano il dire che egli nella Vendita fa quello strazio dei grandi filosofi antichi, e nel Pescatore si scusa, e dice che egli intende parlare dei cattivi, non dei buoni. Innanzi abbiamo mostrato qual è il vero concetto dell’artista, e come s’ha ad intendere: ora aggiungiamo che nel Pescatore queste scuse non ci sono, ei non si pente, non muta il suo concetto, ma lo spiega più chiaramente. I veri savi chi li può biasimare? Ma siccome egli è persuaso che saper vero non c’è, o è tutt’altro da quel che si dice, così mentr’egli onora quei savi per alcune parti, per altre li canzona. Lo scettico stima un uomo dotto e savio, sebbene si rida delle sue opinioni: il motteggiatore motteggia anche il sapiente in quella parte che gli trova ridicola, ma non però lo spregia. Luciano era un cervello bizzarro che ne aveva per tutti; e se ei vivesse ora, ne avrebbe delle buone per chi gli vuol togliere due dialoghi bellissimi, e forse anche pel suo traduttore italiano.
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