Il buon vecchio non glielo vorria dire, infine tiratolo in disparte gli dice all’orecchio: La vita degli ignoranti è la più savia: non udire chiacchiere di filosofi: fa come tutti, ridi di tutto, e non curarti di nulla. A questa conclusione si doveva venire dopo tante ricerche e tanti affanni! E perchè si doveva venire a questa conchiusione, che è negativa, però si dipinge largamente l’inferno, in cui è riflesso il mondo di quassù, dove è il positivo ed il reale. I dotti, dice il Weise, a ragione dubitano della genuinità di questo dialogo, in cui le sentenze sono una mera ripetizione di quelle che si leggono nei dialoghi dei morti. Ripetizioni ce n’ha, ma non tante: nè scioccamente fatte da cagionare questo giudizio. Uno scrittore spesso ripete le sue idee con le stesse frasi e parole, e non però fa credere che egli sia un altro. Il Giove confutato ripete il concetto che è nell’ultimo dialogo dei morti; però non è genuino? Se si ripete male, allora la ripetizione è cosa di altra mente. Io per me ci vedo Luciano, che ha sempre innanzi la mente la religione ed il sapere del suo tempo, e non si lascia mai sfuggire l’occasione di mordere la vacuità dei retori: ci vedo lo scettico che si ride di ogni cosa. E invece di notarvi qualche inezia nella dizione, come dice il Weise, io vi noto alcuni tratti belli, come quei vuoti e nuovi retori che fanno da accusatori ai morti, e sono le ombre dei loro corpi vivi; il giudizio di Dionisio assoluto pel favore di Aristippo; quei morti insalati, quei re che fanno i ciabattini, quel Tiresia con una vociolina sottile, ed altri.
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