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      Sicchè io tengo il dialogo bellissimo no, ma bello e genuino.
      LXX. Menippo per conoscere che cosa è questo universo, e il sole, e la luna, e le stelle, e perchè piove, e tuona, e grandina, si mette l’ali d’Icaro, e sale al cielo, per dimandarne Giove; perchè non altri che Giove può conoscere queste verità, delle quali i filosofi su la terra dicono le più matte cose. Descrive il suo viaggio aereo, e la prima posata che fa nella Luna, dove trova il fisico Empedocle scagliatovi dall’Etna in un’eruzione, il quale gl’insegna come vedere di lassù le cose della terra. Volando egli dalla Luna, questa piglia faccia e voce femminile, e gli raccomanda dire a Giove che i filosofi le danno noia ogni giorno, la misurano, la squadrano, e vogliono sapere tutti i fatti suoi. Viene finalmente al cospetto di Giove, gli conta ogni cosa de’ suoi dubbi, del suo desiderio di sapere, dei filosofi che gli avevano messo sossopra il cervello con le loro pazzie. Giove s’informa che si fa su la terra, che pensano di lui gli uomini, e se sono religiosi; ed egli stesso riconosce che è curato poco. Così ragionando, vanno ad un luogo dove Giove apre alcuni finestrini, e si mette ad udire le preghiere, e le promesse, e i voti che si alzano dalla terra. Dispone la pioggia, la grandine, i tuoni, e conduce Menippo a cena. Il giorno appresso chiama gli Dei a parlamento, e fa una diceria nella quale discorre dei filosofi: gente prosuntuosa ed oziosa che vuole ragionare di tutto, trova da ridire in tutto, spia tutto, si mischia dei fatti nostri, dice che noi non siamo niente, e che gli uomini ci sprecano i sacrifizi con noi, e tra breve ci ridurrà a morirci di fame in cielo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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