Questo era il senso della risposta, non la risposta di Luciano. Egli retore, non sa dimenticare i tribunali; egli in Atene, non vede nè ode altro che piati, che piacciono tanto a quel popolo: quest’accusa è un piato vecchio che già appartiene al mondo dell’immaginazione, nel quale egli ti trasporta, e scrive questo dialogo.
Ecco Giove che si lagna di avere per mano tante faccende da non fargli chiudere occhi nè respirare: si affatica notte e giorno a governare il mondo, e pure molti sparlan di lui, e sono malcontenti, e dicono che egli è un poltrone. Molti affari sono trascurati per mancanza di tempo: stanno lì un monte di processi coperti di ragnateli, e non potuti sbrigare: sono citatorie e libelli e querele che le Arti e le Scienze hanno fatto contro alcuni uomini: e questi processi non sono ancora giudicati. A consiglio di Mercurio egli decide di farli giudicare in Atene, ne dà l’incarico allo stesso Mercurio e alla Giustizia, la quale si turba a sentire che deve scendere di nuovo su la terra, e specialmente in Atene. Ma Giove la conforta e l’assicura che il mondo è mutato per opera di tanti filosofi che vi sono: ed ella deve ubbidire. La poveretta non persuasa interamente, mentre scendono, dimanda a Mercurio come sono i filosofi, e se ella può stare con essi. Mercurio se n’esce pe’ generali: ce n’ha di buoni e di cattivi: i cattivi sono i più, ma pur ci sono i buoni coi quali puoi stare. Ma Pane, che vien loro incontro e che abita nella spelonca sul Partenio, donde si vede tutta Atene di sotto, le dice schiettamente che egli ode sempre grida e schiamazzi e risse di questi tali, e vede che fanno di brutte cose.
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