LXXVI. E per ammaccare questa prosunzione, per rallegrare e ridere e dire una bizzarria, è scritto il Parassito, che con molti sottili e speciosi argomenti vuol dimostrare che l’arte parassitica è la maggiore e migliore di tutte le arti, e sorpassa anche la filosofia e la rettorica tenute sì grandi. E questa dimostrazione è fatta con molto fine accorgimento, molte grazie e lepori: se non che lo scherzo è protratto un poco troppo a lungo; e talvolta la molta saccenteria genera una certa freddezza, ed incresce. Può essere di Luciano, ma non ha la forma breve e leggiera, il fare libero e sicuro che è nelle altre opere: onde ragionevolmente si dubita se sia suo. Noi non conosciamo l’occasione per la quale questo ed altri dialoghi furono scritti, e però non possiamo farne giudizio esatto, nè dirne altro. E forse è bene di non dire molto di uno scherzo troppo prolungato.
LXXVII. Se alcune delle più belle opere di Luciano, perchè strapazzano la filosofia ed i filosofi, non sono tenute per sue, il Peregrino, perchè narra la morte di un impostore che fu cristiano, e perchè dice per incidente poche parole generali intorno ai cristiani, ha fatto nascere mille scrupoli, mille dubbi, mille clamori, ed è stato sentenziato come scritto empio, scellerato, apocrifo, e monco. Osserviamo senza preconcetto. Non è un dialogo, ma una lettera di Luciano a Cronio, nella quale con molti particolari si narra la morte di Peregrino, detto il Proteo, che da sè stesso si gettò in una pira accesa innanzi a moltissimi spettatori raccolti per i giuochi olimpici.
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