LXXVIII. Ei pare che alcuni di quei Cinici seguaci di Peregrino, che Luciano minacciò afferrarli e gettarli nel rogo appresso al loro maestro, avessero sparlato di Luciano: il quale avendo dipinto il maestro, dipinge gli scolari nel dialogo i Fuggitivi. Al Bourdelot ed al Marcilio questo dialogo non pare di Luciano: al Kustero sì, e per la materia e per lo stile. La scena, come in molti altri, è prima in cielo poi su la terra. Apollo dimanda a Giove se egli è vero che un vecchio si è gittato da sè nel fuoco in Olimpia, e per quale cagione: e mentre Giove sta per dirglielo, viene la Filosofia tutta sossopra e lagrimosa a chiedere aiuto e vendetta contro una gente piena d’ignoranza e sozza di ogni vizio, i quali l’hanno offesa, e sfacciatamente pigliano il suo nome, e si chiamano filosofi. Questi sono la più parte vilissimi artigiani, nettapanni, scardassieri, ciabattini, che non potendo vivere dell’arte loro, indossano mantello e bisaccia, e si spacciano filosofi. Al racconto delle ribalderie di quei tristi, Giove rimanda su la terra la Filosofia accompagnata da Mercurio e da Ercole, per scopare quella sozzura dal mondo. Scendono in Tracia, s’abbattono in alcuni uomini che vanno cercando certi loro servi fuggitivi, ed in un povero marito cui è stata rubata la moglie da uno di quei servi. Si dimandano gli Dei e gli uomini, si rispondono, scoprono che i tre servi fuggitivi sono divenuti tre filosofi cinici, e la donna cinicamente filosofeggia con tutti e tre. Mercurio promette per bando un premio a chi indica i fuggitivi.
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