Comparisce Orfeo, gentil poeta e legislatore, però nemico di ogni impostura ed ingiustizia, il quale indica una casetta dove essi sono, e ritirasi. Te li acchiappano tutti e quattro, te li riconoscono per quei ghiotti che sono; e Mercurio comanda che la donna torni al marito che non la vuole più, i servi ai padroni, ed ai mestieri che facevano, ma uno, il più sfacciato, sia legato, pelato, battuto, ed esposto nudo su la neve di monte Emo. Il dialogo ha molta vita ed azione; e massime nel riconoscimento dei fuggitivi è una forza e celerità comica, un gruppo di motti, di allusioni, di malizie che mi fanno riconoscere l’ingegno, l’arte, e la maniera di Luciano.
RELIGIONE.
LXXIX. OPERE SATIRICHE. Quando leggi il Prometeo di Luciano naturalmente ti viene a memoria il Prometeo di Eschilo: ambedue cominciano quasi nel modo stesso, ma quanto sono lontani e diversi tra loro! L’uno fu scritto al tempo che vivevano i giganti di Maratona, ed è opera gigantesca: l’altro fu scritto al tempo dei sofisti, ed è una diceria sofistica. Eschilo in quel Titano sapiente e magnanimo rappresenta la persona della intelligenza umana che soffre per aver fatto il bene, e nel suo sofferire è più grande di Giove fortunato e potente: quindi il bene che Prometeo ha fatto, ed il dolore che egli soffre sono le due grandi idee che il poeta mostra e spiega largamente: le accuse che gli si danno, ed il pretesto pel quale egli è fatto sofferire, essendo cagioni lievi e false, sono accennate leggermente. Quel grande patisce ingiustizia, e non discute, ma tace.
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