E il Cinico che la rappresenta, si protesta di non usare gli argomenti della scuole, ma le osservazioni del senno naturale contro Giove, personificazione della ragione sacerdotale antica. Questa discussione è importantissima; finisce con l’annullamento del fato ed il trionfo pieno della libertà umana, o per dir meglio e come l’intendeva Luciano, della libertà individuale. Poteva egli entrare poesia in questa discussione sì grave?
LXXXI. Lo stesso concetto è nel Giove tragedo, ma non nella stessa ampiezza, però il dialogo piglia una forma artistica e leggiera, ha molta comica poesia, e molte grazie. Giove pensoso e tristo come un re di tragedia, si lagna di una grande sventura: gli fanno forza a dire, ed ei dice: Ieri uno Stoico ed un Epicureo in Atene disputavano pubblicamente intorno alla provvidenza ed agli Dei; la gente che udiva era molta, ed aspettano chi uscirà vincitore della disputa, che oggi dovrà finire. Che consiglio prendere? Convocare tutti gli Dei a parlamento, perchè la è una faccenda che importa a tutti. Chiamati, convengono tutti, e siedono ciascuno secondo che è di oro, di argento, di bronzo: viene anche il Colosso di Rodi, e rimane in piedi e fa da ombrella all’adunanza. Giove fa la sua diceria raffazzonando Demostene, ed espone il caso. Momo dimanda la parola libera, e dice che gli Dei hanno meritato questo male e peggio perchè non si curano affatto delle cose del mondo, e sono un punto peggiori degli uomini. Nettuno propone di fulminare l’epicureo: ma la proposta è scartata, perchè il fato nol consente.
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