Apollo propone di dare un avvocato allo stoico non troppo bravo parlatore: ed è anche scartata, perchè ridicola. Ercole propone, se la disputa piglia cattiva piega, di scrollare il portico e farlo cadere in capo all’epicureo: ed è scartata come un poco bestiale, ed anche non voluta dal fato. Intanto ecco il Mercurio di piazza che viene ad annunziare cominciata la disputa: si aprono le porte del cielo, e tutti gli Dei guardano ed odono i due disputanti in mezzo una grande moltitudine di ascoltatori. Lo Stoico villanamente attacca l’Epicureo, e l’ingiuria: questi freddo risponde, discorre delle cose del mondo, e dice che non sono governate da alcun senno. Mentre si parla in terra, non si tace in cielo: mentre l’Epicureo gitta bottoni grossi contro gl’iddii, Momo di su rinforza le botte, e Giove, che si sente ferito più degli altri, vanamente si dibatte. Infine lo Stoico vinto si scaglia nelle più grossolane villanie, e mette mano ai sassi: l’Epicureo ride e vassene, e con lui tutta la gente, che lo applaudisce. In cielo gli Dei tacciono. Giove dice: E che faremo ora? Nulla, risponde Mercurio; non è gran male che pochi la pensino così: nel mondo non mancherà mai una gran moltitudine di sciocchi che ci adoreranno. Ma io vorrei, ripiglia Giove, piuttosto un savio solo da mia parte, che molte migliaia di sciocchi. — Da queste ultime parole si raccoglie che il problema della provvidenza e della esistenza degli Dei non è presentato alla ragione per iscioglierlo, ma alla fantasia; quindi nel dialogo non sono argomenti per convincere la ragione che è sempre di pochi, ma immagini convenienti a muovere le fantasie del popolo in mezzo al quale è la disputa.
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