Io per me tengo questi mimi come i più belli fra tutti gli altri, non pure per le vive immagini, ma per una pura vena d’affetto, che raro s’incontra nelle opere di Luciano, ed è limpida come l’acquicella della fontana Aretusa.
XCIV. I Dialoghi dei morti sono i più famosi, perchè presentano l’immagine della vita umana. Diogene manda a chiamar Menippo per mezzo di Polluce (dial. 1), che ogni sei mesi, scambiandosi col fratello, ritorna su la terra, e gli manda a dire: Se hai riso a bastanza costassù, vientene quaggiù che ci avrai da ridere assai della grandezza e superbia umana che vedrai bene ammaccata. Si ride adunque del passato in cui si specchia il presente. Va Menippo con una truppa di morti (d. 10), un leggiadro garzone, un tiranno, un atleta, un guerriero, un filosofo, un retore, ai quali tutti dispiace lasciare la vita; ed egli solo, che ne conosce la vanità, vassene lieto e scevro. Ma se egli è povero, come pagherà il nolo a Caronte? (d. 22). Si bisticcerà col navicellaio; ma, vuoi o non vuoi, dovrà passare. Anche laggiù gli Dei stanno attaccati al danaro, e Caronte e Mercurio fanno spesso tra loro i conti di ciò che guadagnano (d. 4). Disceso Menippo non ha altra voglia che di vedere come stanno laggiù i grandi della terra, e si piace di beffare e trafiggere Creso, Mida, Sardanapalo (d. 2); poi canzona Trofonio, e Tiresia (d. 3 e 28) impostori ed indovini; e ride di Tantalo (d. 17), e non gli crede che abbia sete e fame, perchè è ombra, non corpo che sente questi bisogni.
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