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      Cercando le belle persone, tanto ricercate dai Greci, vede il teschio di Elena, e ride della vanità della bellezza (d. 18): fu fatto e sofferto tanto per una che doveva ridursi a questo! Mentre egli fa questa osservazione, Nireo e Tersite contendono per bellezza (d. 25), e fanno giudice Menippo, il quale decide che sono due teschi eguali, e Tersite è contento, perchè i poveri e i servi sorridono alla morte che li agguaglia a tutti gli altri. Cerca di vedere i filosofi, e parlando con essi (d. 20) sa che Pitagora ha mutato dommi e mangia le fave; che Empedocle si gettò nell’Etna per una fiera malinconia; e che Socrate diceva davvero che egli non sapeva nulla, e la gente credeva che ei lo dicesse per ironia. Dimanda a Cerbero (d. 21) come Socrate sostenne la morte, e quei gli risponde: Gli dispiacque assai, ma come la scorse inevitabile, fece le viste di sprezzarla per essere ammirato. Infine Menippo dimanda al savio Chirone (d. 26): È vero che tu eri immortale, e volesti morire? — Sì, perchè mi noiavo della vita. — E se ora ti noierai della morte e di stare qui, cercherai forse di andare in un’altra vita? Chi non sa sofferire non è savio. Non pure Menippo, ma Diogene ancora è personaggio principale in questi dialoghi. Diogene deride Alessandro (d. 13) che si faceva tenere per un dio, e morde la crudeltà del conquistatore. Il quale, paragonato a suo padre Filippo (d. 14), non pare più sì grande per geste guerriere, ed è un vanitoso. Poi Diogene mette in canzone Ercole (d. 16), e gli dice: L’ombra tua è nell’inferno, l’anima è dio in cielo, il corpo è cenere sull’Oeta: dunque o sono tre Ercoli, o non ce n’è che uno, ed è morto.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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