E gliene dà un’altra ancora per ciò che dice di Protesilao, il quale morto nello sbarcare sul lido di Troia, ottenne da Plutone di tornare per un giorno solo a vedere la giovane e diletta moglie. Mentre Protesilao prega Plutone (d. 23), questi gli dice: Come, hai bevuto Lete, e non puoi dimenticare la tua donna? — Non posso: in me non fece effetto. — Aspetta, che verrà ella. — Tu fosti innamorato, e sai che tormento è l’aspettare. — Ma come ti riconoscerà ella se tu sei un teschio spolpato? Qui entra Proserpina, che aiuta Omero e Protesilao, e dice al marito: Ordina a Mercurio di toccarlo con la verga, e di rifarlo giovane sposo. Lo stesso Protesilao, dolendosi della morte che lo tolse ad amore (d. 19), se la piglia con Elena, poi con Menelao, poi con Paride, poi con Amore, infine riconosce che di tutto ha colpa il fato, il quale destina ogni cosa, e a nessuno si può imputare nè il bene nè il male. Così ancora Aiace odia Ulisse (d. 29) senza ragione, perchè non Ulisse, ma Pallade, non il guerriero, ma l’intelligenza lo vinse: e pure egli l’odia, perchè eterno è l’odio tra la forza e l’intelligenza. Infine Sostrato, ladrone dannato a supplizio atroce, disputa con Minosse (d. 30) e dice: Se ognuno fa necessariamente quello che la Parca ha destinato, la Parca fa il bene e fa il male: e io non merito pena, perchè ho fatto quello che la Parca mi ha comandato. Minosse lo assolve, e gli raccomanda di non dire a nessuno queste cose. Infine il dialogo 12° in cui Alessandro, Annibale e Scipione contendono innanzi a Minosse del primato nelle armi, non mi pare di Luciano; perchè è una declamazione rettorica noiosa tra i vivi, noiosissima tra i morti.
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