L’Italia adunque nella sua lingua non ha ancora una buona e compiuta traduzione di Luciano.(26)
XCVIII. Le opere d’arte quando sono voltate in un’altra lingua, come le monete che si cambiano in un paese forestiero, scemano sempre di pregio; spesso ritengono solo quello della materia: e mi ricorda di aver letto che una volta il Klopstoch leggendo una traduzione della sua Messiade, pianse di dolore. Per me sta che la traduzione d’un’opera d’arte debba essere anche un’opera d’arte, e che il traduttore nel suo ingegno debba trovare e nei modi della sua lingua un colorito simile a quello dell’originale, quando quello dell’originale non può essere ritratto fedelmente: il che avviene specialmente allora che si traduce da una lingua antica, o molto diversa. Dove i concetti sono l’importante, tradurre è facile, perchè la forma è cosa secondaria; ma dove l’importante è il modo onde sono espressi i concetti, ivi tradurre è difficile, perchè ogni lingua ha un suo modo particolare, e per sostituire convenevolmente l’un modo all’altro, bisogna buon giudizio assai, e fine conoscenza delle due lingue, e un certo ardire d’artista. Queste cose sono facili a dire, ma non facili ad eseguire; perchè di buon giudizio nessuno ha a bastanza; conoscere bene anche la propria lingua non è affare di lieve momento; e spesso l’ardire trasmoda in prosunzione. Onde, benchè io desideri che questa traduzione paia ottima agli Italiani, come quella del Wieland pare ai Tedeschi, pure nessuno meglio di me sa dove ella manca, dove non risponde puntualmente all’originale, dove per istanchezza, per noia, e per manco di conoscenze non ho potuto nè saputo far meglio.
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