Nel tradurre mi sono venute fatte alcune correzioni al testo, le quali mi pare sieno necessarie a bene intenderlo: io le propongo a tutti coloro che intendono bene il greco, e sono uomini discreti, affinchè possano giudicarne, e, se le riconosceranno necessarie, usarne ancora nelle future ristampe del testo di Luciano.(27)
XCIX. Sebbene io sappia che niente può scusare la mediocrità di un’opera, e che tutti i lettori senza curarsi di sapere con quali mezzi e con quante difficoltà fu fatta, la scartano o la lodano senz’altro; sebbene io non chieda indulgenza, perchè so che l’è inutile; e non s’acquista fama per indulgenza, e solo il buono resiste al tempo; nondimeno io credo che a taluno non dispiacerà che io dica in qual luogo e come fu fatta questa traduzione; almeno io sento il bisogno ed il dovere di dirlo. Ero io da due anni nell’ergastolo di San Stefano, quando ci venne il mio diletto amico Silvio Spaventa, il quale portò seco un volume contenente alcune opere di Luciano tradotte in francese dal Belin de Ballu. Lo lessi, mi piacque, mi ricordai degli studi della mia giovinezza; e mi parve che il riso e l’ironia di Luciano si confacesse allo stato dell’anima mia. Per non perdere interamente l’intelligenza, che ogni giorno mi va mancando, per non perire interamente nella memoria degli uomini, mi afferrai a Luciano, e mi proposi di tradurne le opere nella nostra favella. Ebbi il nudo testo emendato dal Weise, e cominciai a lottare disperatamente con mille ostacoli, senz’altro aiuto che un piccol lessico manuale: ma pervenuto più oltre della metà del lavoro, ebbi l’edizione Bipontina.
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