Onde si avevano le più belle speranze di me, che in breve imparerei l’arte per quelle figurine ch’io formavo.
Quando dunque parve giunto il giorno di mettermi all’arte, mi consegnarono allo zio, e io non ero di mala voglia, anzi mi pareva che ci avrei uno spasso, e mi farei bello coi compagni, se scolpissi iddii ed altre immaginette da tenerle per me, o darle a chi più mi piaceva. E primamente mi avvenne quel che suole ai principianti. Lo zio mi diede uno scalpello, e mi disse di leggermente sgrossare una tavola di marmo che stava in mezzo all’officina, aggiungendomi quel proverbio: chi principia ha mezzo fatto. Ma io che non sapevo, diedi forte un po’, e il marmo ruppesi. Egli adirato piglia un randello che gli viene a mano, e mi picchia senza una pietà; sicchè la prima lezione fu picchiate e lagrime. Me ne scappai, e giunto a casa singhiozzando e piangendo a caldi occhi, raccontai di quel randello, e mostrai i lividori, e dissi che quegli era un crudele, e me l’aveva fatto per invidia che io non lo sorpassassi nell’arte. La mamma ne fu corrucciata, e n’ebbe a garrire col fratello: ed io la sera andai a letto, e m’addormentai piangendo ancora, e ripensandoci tutta notte.
Finora v’ho detto cose da ridere e fanciullate: ma ora verrà il buono, che è da udire attentamente. Imperocchè per dirvela con Omero
... Divino a me veniva un sogno
Nella dolcezza della notte,
e così chiaro che non differiva punto dal vero: e infatti anche dopo tanto tempo, le immagini che mi apparirono, mi stanno ancora innanzi agli occhi; e sento ancora il suono delle parole: tanta era la chiarezza.
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Omero
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