Or io temo che l’opera mia non sia come il camello fra gli Egiziani, e che la gente ammiri ancora le belle coverte ed il freno. Perocchè l’essere ella composta di due cose bellissime, che sono il dialogo e la commedia, non fa che ella sia bella, se l’unione non è armonica e di leggiadra proporzione. L’unione di due cose belle può riuscire una stranezza, come è il notissimo Ippocentauro,(32) che certo non puoi dire essere una bestia piacevole, così sozzo e rissoso come è, se bisogna credere ai pittori, che ce lo rappresentano fra crapule ed uccisioni. Ma che? e di due cose ottime non se ne può fare una bella, come dal vino e dal mele una dolcissima bevanda? Si può: ma credo che non sia questo il caso mio, e temo che la bellezza dell’uno e dell’altra non sia guasta dall’unione. Da prima non erano molto amici e famigliari tra loro il dialogo e la commedia: quello ritirato in casa, e nei passeggi solitari ragionava con pochi; questa datasi a Bacco, stava sul teatro, e scherzava, faceva ridere, motteggiava, e talvolta camminava in cadenza a suon di flauto, e spesso saltabeccando su gli anapesti, dava la baia agli amici del dialogo, salutandoli coi nomi di malinconici e di strolaghi, e non s’era proposta altro scopo che trafiggere costoro, e rovesciar loro in capo tutta la furia di Bacco, rappresentandoli ora che andavan per l’aria e conversavano con le nuvole, ora che misuravano il salto d’una pulce, e fantasticavano di cotali altre corbellerie come di cose sublimi. Il dialogo poi ragionava di cose gravissime, filosofando della natura e della virtù; sicchè, a dirla coi musici, eran lontani fra loro due ottave, l’uno stava al tono più acuto, l’altra al più basso.
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