E pure noi ardimmo di congiungere ed acconciare due cose che non facilmente pativano di stare insieme.
Ho paura ancora ch’io non paia d’aver fatto qualcosa di simile al tuo Prometeo, ad aver mescolato maschio e femmina, e che di questo fatto io sia reo. Ma meglio questo che, come lui, ingannare gli ascoltatori, mettendo innanzi a loro l’osso nascosto sotto il grasso, il riso del comico sotto la gravità del filosofo. Di furto poi (chè anche di furto fu appuntato quel Dio) bah, no: questo puoi dirlo, che nel mio non c’è roba altrui. E da chi avrei rubato? Io non so che ci sia stato altri che abbia composto di tali irchicervi e bizzarrie. E se c’è, che potrei fare? È forza seguitar la via presa: mutare consiglio è cosa da Epimeteo,(33) non da Prometeo.
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III.
NIGRINO,
oDE’ COSTUMI D’UN FILOSOFO.
LETTERA A NIGRINO.
Luciano a Nigrino salute.
Il proverbio dice: Non portar nottole in Atene: infatti saria ridicolo chi ne portasse dove ce ne ha tante. Ed io, se per desiderio di sfoggiar dottrina ed eloquenza scrivessi un libro e lo mandassi a Nigrino, farei ridere, e davvero gli porterei nottole a vendere. Ma perchè io non voglio altro che mostrarti in quanto pregio ti ho, e come serbo riposti in cuore i tuoi ragionamenti, spero che non mi si potrà dire quella sentenza di Tucidide, che l’ignoranza fa l’uomo ardito, la riflessione cauto. Perchè egli è chiaro che di questo mio ardire non è cagione la sola ignoranza, ma anche l’amore che io ho ai tuoi ragionamenti. Sta sano.
Luciano ed un Amico.
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