Io gli dissi il tutto; e poi volli anch’io sapere da lui che facesse, e se pensava di ritornare in Grecia. Com’egli cominciò a parlare di queste cose, e ad aprirmi il suo pensiero, mi riempì di tanta dolcezza di parole, che mi pareva, o amico mio, di udir le Sirene, se mai ve ne furono, o i rosignuoli, o l’antico loto(34) di Omero: sì divine cose diceva! Perocchè il discorso lo condusse a lodare la filosofia, e la libertà che da essa deriva, ed a spregiare quei che il volgo crede beni, la ricchezza, la gloria, la potenza, gli onori, l’oro, la porpora, ed altre cose tanto ammirate da molti, ed una volta anche da me. Io accogliendo il suo discorso nell’anima mia attenta e desiosa, non ti so spiegare ciò che sentivo: era un rimescolamento di pensieri e di affetti: ora mi dispiaceva di udir disprezzare cose a me carissime, le ricchezze, le grandezze, la gloria, e quasi piangeva su gli strapazzi che egli ne faceva: ed ora quelle stesse cose mi parevano vili e spregevoli, e mi rallegravo come se, vissuto per l’innanzi in un aere tenebroso, venissi a riguardare il sereno ed una gran luce. Onde (e questa è più nuova), mi dimenticai dell’occhio e del male, ed in breve acquistai acutissima la vista dell’anima, che fino allora era stata cieca, ed io non me n’ero accorto. E così finalmente son divenuto quale tu testè mi chiamavi: sì, son superbo e fiero per quel ragionamento, e più non m’abbasso a piccoli e vili pensieri. Perciocchè mi pare che in me la filosofia abbia fatto ciò che fa il vino agl’Indiani quando lo bevono la prima volta: chè quelle calde nature, bevendo così poderosa bevanda, danno subito in delirio, e a doppio degli altri uomini impazziscono.
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