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      E quel che più mi spiace, non mutano vesti, avendo tutto mutato, e rappresentando un’altra parte nel dramma. E nei conviti quali brutture non fanno? s’empiono scostumatamente, s’imbriacano sfacciatamente, si levan di tavola gli ultimi, pretendono di portarsi via il meglio, e spesso per darsi un’aria di leggiadria giungono sino a cantare.
      Queste cose egli stimava degne di riso. Specialmente poi ricordava di quelli che per prezzo insegnano filosofia, ed espongono in vendita la virtù come fosse roba da mercato; onde chiamava botteghe e taverne le loro scuole, perchè credeva che chi insegna a spregiare ricchezza, deve prima egli esser lontanissimo da ogni guadagno. E in verità egli ha fatto sempre così; non pure insegnando gratuitamente, ma dando del suo ai bisognosi, e spregiando ogni soverchio per sè. E non che desiderare l’altrui, egli lascia perire anche il suo e non vi bada: possiede un podere non lungi dalla città, e per tanti anni non v’è andato mai, anzi non dice neppure che n’è padrone, forse perchè egli stima che di cotali cose noi per natura non siamo padroni, ma per legge e per successione ne riceviamo l’uso in tempo indeterminato, siamo padroni di breve durata; e, passata l’ora nostra, se le piglia un altro con la stessa condizione. E poi egli è un bell’esempio, a chi vuole imitarlo, di frugalità nel cibo, di moderazione negli esercizi, di dignità della persona, di semplicità nel vestito, e sopra tutto di compostezza di mente e di dolcezza di costumi. Esortava quelli che ragionavano seco a non differire a fare il bene, come molti che dicono: dal tale dì comincerò a non dire più bugie, dalla tale festa ad essere onesto uomo; perchè, diceva, non si deve ritardare quell’impeto che ci porta al bene.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494