Lascio stare quante volte t’hanno spogliato il tempio; ma a farti metter le mani addosso in Olimpia! Tu che fai tanto rumore lassù, te ne stavi zitto come un vigliacco, non destare i cani, non chiamare i vicini, che sarien corsi al rumore, e avrien presi i ladri che fuggivano coi fardelli in collo. O valoroso sterminator dei giganti, o domator di Titani, come te ne stesti lì a lasciarti tosare dai malandrini, e avevi in mano una folgore di dieci cubiti? Sciagurato che sei, gittaci un’occhiata, su questa terra: quando ci avrai un po’ di cura? quando punirai tante scelleratezze? Quanti Fetonti e Deucalioni ci vorrebbero per questa soverchiante piena di umane malvagità!
Ma lasciamo i generali, e veniamo al fatto mio. Quanti Ateniesi io ho sollevati, e di poverissimi li ho fatti ricchi! Ho soccorso tutti gl’indigenti, ho profuso tutta la mia ricchezza per beneficare gli amici miei: ed ora che io per questo son divenuto povero, ora non mi conoscono più, non mi guardano più in viso quest’ingrati, che poco fa tutti raumiliati mi riverivano, mi baciavan le mani, pendevano da un cenno mio. Se per via ne incontro alcuni, ei trapassano, come si fa presso un’alta colonna di antico sepolcro rovesciata dal tempo, che neppur si legge il nome che v’è scritto. Se m’adocchian da lungi, voltano strada, per non riguardare uno spettacolo spiacente e di tristo augurio; e l’altrieri io era loro salvatore e benefattore. Or poichè la mia sventura mi ha condotto a questo estremo, io con questo pelliccione indosso lavoro la terra per guadagnarmi quattro oboli, e in questa solitudine vo filosofando io e la zappa.
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