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      A quegli adulatori, a quegl’ingrati, penserò io: me la pagheranno poichè m’avrò fatto racconciare la folgore: che vi si ruppero e rintuzzarono due raggi i più grandi, quando ultimamente la scagliai di gran forza contro quel furfante del filosofo Anassagora, il quale persuadeva ai suoi discepoli che noi siam niente noi altri iddii. Lo sfallii, chè Pericle gli parò il colpo con la mano, e la folgore battendo nel tempio de’ Dioscuri, lo bruciò, e per poco la non ruppesi su la pietra. Ma per ora basti loro il castigo di veder Timone straricco più di prima.
      Mercurio. Ve’ che vuol dire il gridar forte, e l’esser importuno ed ardito! Ei giova non sol nel piatire, ma nel pregare. Ecco qui Timone di poverissimo tornerà gran ricco, perchè ha pregato e strillato con male parole, ed ha fatto voltar Giove. Se zappava zitto e curvo, zapperebbe ancora, e nessuno gli avria badato.
      Pluto. Io non voglio tornar da colui, o Giove.
      Giove. E perchè no, o buon Pluto, quando io te lo comando?
      Pluto. Perchè m’ha offeso troppo, m’ha gettato, m’ha sparnicciato, e quantunque amico di suo padre, m’ha scacciato di casa quasi con la forca; gli pareva di aver fuoco nelle mani. Ritornarci ora per esser dato a parassiti, ad adulatori, a cortigiane? Mandami a quelli, o Giove, che sentono il valore del dono, e mi custodiscono come cosa preziosa e desiderabile. Questi scialacquatori restino sempre poveri, chè lo vogliono; e con un cencio indosso e con la zappa in mano, stentino la vita a quattro oboli il giorno, giacchè spensieratamente han dato fondo a un dono di dieci talenti.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





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