Come dunque può stare, una volta biasimar questo, ed ora dar colpa del contrario a Timone?
Pluto. Eppure se consideri bene, ti parrà che ho ragione per l’uno e per gli altri. Quello spendere e spandere che Timone faceva all’impazzata, e non per bontà, l’è certo una stoltezza: e quel tenermi così serrato all’oscuro per farmi divenir più grasso e tondo e paffuto, senza ardire di toccarmi, senza farmi veder la luce per paura che qualcuno non mi faccia l’occhio d’amore, è un’altra pazzia di quegli avaracci; i quali mi tengono a muffire in sì brutto carcere senza un delitto, e non pensano che tra poco morranno, e mi lasceranno a qualche fortunato. Io non lodo nè questi, nè quegli altri che han le mani forate, ma quegli uomini misurati che stanno egualmente lontani dalla sozza avarizia e dalla matta prodigalità. Ma per Giove! dimmi un po’, Giove mio, se uno sposasse legittimamente una fresca e bella fanciulla, e poi non se ne curasse, non ne fosse geloso, le desse briglia sciolta a correre dì e notte dov’ella vuole, a darsi alle voglie di ognuno, e menasse egli stesso gli adulteri in casa, aprisse le porte, e chiamasse tutti quelli che passano, ti parrebbe amarla egli? Tu dirai che no, o Giove, che tu d’amore ne sai alcuna cosa. E se per contrario uno si menasse a casa legittimamente una donna libera, ed atta a far bei figliuoli, e neppure fiutasse il fiore di sì bella vergine, nè la facesse pur guardare in viso da altri, ma la chiudesse, e la lasciasse languire sterile e vergine, dicendo che egli lo fa per amore, e mostrandosi pallido, magro, con gli occhi incavati, morto di passione, non ti parrebbe pazzo costui, che potendo generar figliuoli, e goder delle nozze, lasciasse appassire la fiorita gioventù d’una cara fanciulla, destinandola a perpetua verginità come sacerdotessa di Cerere?
| |
Timone Timone Giove Giove Giove Cerere
|