Però io mi sdegno e contro quelli che mi scacciano a calci, mi buttano, mi strapazzano, e contro quelli che mi mettono i ceppi come fossi un servo fuggitivo marchiato.
Giove. Perchè sdegnartene? Tutti hanno la pena dovuta: gli uni come Tantalo, affamati, assetati, secchi, stanno con tanto di bocca spalancata su l’oro: gli altri, come Fineo, mentre hanno il cibo nelle canne, so lo veggono strappare dalle arpie. Ma or va da Timone, che lo troverai più sennato.
Pluto. E cesserà egli una volta d’essere come un cofano pertugiato, nel quale prima che io versi tutto di su, tosto se n’è scorso di giù; e di temere che io non gli rovesci una gran piena, e non l’affoghi? Mi pare di portar acqua nella botte delle Danaidi che non si può riempiere chè il fondo è aperto, e quanto ci versi, scorre da ogni parte per le tante aperture e fessure che vi sono.
Giove. Ebbene, se egli non ristopperà le fessure e le aperture, e diffonderà quello che tu gli verserai, ritroverà nel fondo della botte il pelliccione e la zappa. Andate ora, ed arricchitelo. E tu ricòrdati, o Mercurio, al ritorno, di condurmi i ciclopi dall’Etna, per racconciarmi la folgore. Non anderà guari e avrò bisogno che sia ben aguzza ed arrotata.
Mercurio. Andiamo, o Pluto. Ma che è questo? tu zoppichi? Non sapevo che eri e cieco e zoppo.
Pluto. Non sempre zoppo, o Mercurio: quando Giove mi manda da alcuno, io non so come, non posso sgranchiare, e baleno su tuttadue le gambe, e quando giungo al termine, chi m’aspettava è già fatto vecchio; quando poi debbo tornarmene, diresti che ho l’ali, e volo più veloce degli uccelli.
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