(39) Come cade la corda,(40) io son gridato vincitore: percorro lo stadio, e talvolta non possono seguirmi con l’occhio gli spettatori.
Mercurio. Non dici il vero. Io ti potrei nominare tanti che ieri non avevano un obolo da comprarsi un laccio, ed oggi a un tratto ricchi, sfarzosi; in cocchio tirato da una muta di cavalli bianchi, quando prima non possedevano neppure un asino, vanno vestiti di porpora, le mani tutte anella d’oro, essi stessi quasi credono di sognare.
Pluto. Questo è altro, o Mercurio: nè ci vo coi piedi miei allora, nè mi manda Giove da quelli, ma Plutone, datore di ricchezze anch’egli, e gran donatore, come suona il suo nome. Quando adunque i’ debbo mutar casa e signore, mi ravvolgono nelle carte di un testamento, mi vi suggellano accuratamente, e mi trasportano come un fardello. Intanto il morto giace disteso in un cantuccio scuro della casa, coperto sino alle ginocchia da un cencio, mentre intorno gli saltano i gatti: e quelli che sperano di avermi, vanno in piazza ad aspettare il testamento a bocca aperta, come i rondinini pigolando cercano l’imbeccata alla madre che va intorno svolazzando. Poichè rompesi il suggello, tagliasi la tela, ed apresi il testamento, vien gridato il mio novello padrone, che è un parente lontano, o un adulatore, o un servo bagascione, prediletto bardassa che porta ancora le gote rase, il quale dei tanti e sì diversi piaceri di cui ha saziato il suo signore, quantunque non sia più garzone, riceve ora questo gran premio. Quel furfante, chiunque egli sia, abbrancatomi nel testamento, me ne porta via, e non è più Pirria, o Dromone, o Tibio, ma chiamasi Megacle, o Megabise, o Protarco.
| |
Mercurio Giove Plutone Pirria Dromone Tibio Megacle Megabise Protarco
|