Gli altri rimangono trasecolati a guatarsi, stanno in un lutto vero, ripensando come un sì gran tonno è sfuggito dal mezzo della rete, dopo di avere inghiottita più di un’esca. Come mi afferra quello stupido bestione, che al vedere i ceppi ancor guizza di paura, che se ode scoppiettare una frusta drizza gli orecchi, e che adora un mulino come un tempio, prende i più fecciosi modi con tutti, insulta gli uomini liberi, e fa frustare i suoi antichi conservi per provare se egli è veramente divenuto padrone; finchè capitato fra l’unghie d’una sgualdrinella, o spendendo in cavalli, o aggirato da adulatori che gli fan credere d’essere più bel di Nireo, più nobile di Cecrope, e più ricco di quindici Cresi insieme, lo sciagurato disperde in un momento quella ricchezza a stenti raccolta con tanti spergiuri e furti e scelleratezze.
Mercurio. Così accade quasi sempre. Ma quando tu cammini co’ piedi tuoi, come fai, se sei orbo, a trovare la via? come distingui coloro a cui Giove ti manda, e che crede degni di arricchire?
Pluto. Pensi tu ch’io mi dia questa pena? Altro!
Mercurio. È vero, per Giove. Certo non avresti lasciato Aristide, per andare da Ipponico, da Callia, e, da molti altri Ateniesi, che non son degni di avere neppure un obolo. Ma che fai quand’hai una commissione?
Pluto. Vo su e giù vagando alla ventura, finch’io m’abbatta in qualcuno. Quegli che prima m’incontra, mi mena a casa sua, e poi ringrazia te, o Mercurio, della inaspettata fortuna.
Mercurio. Dunque Giove è ingannato credendo che tu secondo il suo volere arricchisci quelli che egli stima degni di arricchire?
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