Onde son venuto a darti un consiglio, benchè tu se’ savio, e non hai bisogno de’ consigli miei, anzi potresti darne a Nestore.
Timone. Accòstati, o consigliero sconsigliato: te ne do io uno con questa zappa.
Filiade. Buona gente, vedete, quest’ingrato m’ha rotto il cranio, perchè gli davo un consiglio.
Timone. Ecco il terzo: è l’oratore Demea che viene con un decreto in mano, e si spaccia mio parente. Questi ebbe da me sedici talenti in un giorno, che egli pagò alla città: era stato condannato a questa ammenda, non poteva pagarla, fu imprigionato, io per pietà lo liberai. E testè essendo egli incaricato di distribuire alla tribù Eretteide il danaro dello spettacolo,(43) io andai a chiedergli la parte mia, ed egli disse che non mi conosceva per cittadino.
Demea. Salve, o Timone, ornamento della tua gente, sostegno degli Ateniesi, propugnacolo della Grecia. Il popolo assembrato, e i due consigli già ti aspettano. Ma odi prima il decreto che io ho scritto per te. «Considerando che Timone, di Echecrate, di Colitta, è non pure un ottimo uomo, ma un sapiente, che non v’è il pari nella Grecia; che egli fa continui e grandi benefizi alla città; che in Olimpia in un sol dì vinse alla lotta, al pugilato, al corso, e con le quadrighe, e con le bighe di puledre....»
Timone. Io non ho veduto mai i giuochi in Olimpia.
Demea. Che importa? Li vedrai di poi. Queste cose è meglio che ci sieno. «Considerando che egli s’illustrò l’anno passato combattendo per la città fra gli Acarniesi,(44) e che tagliò a pezzi duemila Peloponnesii.
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