Cherefonte. E questo è l’Alcione? Io non ne avevo mai udita la voce, che ora m’è stata nuova. Oh, mi lascia veramente un eco di pianto nell’anima! E quanto è grande questo uccello, o Socrate?
Socrate. Non molto; ma molto onore ebbe dagli Dei per l’amore che ella portò al marito: chè, per farle fare il nido, il mondo reca alcuni giorni, detti alcionii, placidi e sereni in mezzo del verno: ed oggi è uno di quei giorni. Non vedi come è sereno il cielo, ed il mare tranquillo e cheto, che pare uno specchio?
Cherefonte. Ben dici: Ei pare che oggi sia un giorno alcionio, e ieri fu uno simile. Ma deh, per gli Dei, o Socrate, come mai si può credere agli antichi, che una volta gli uccelli diventavano donne, e le donne uccelli? Cotesta è una cosa che pare del tutto impossibile.
Socrate. O mio Cherefonte, delle cose possibili e delle impossibili noi siamo giudici di assai corta veduta. Noi giudichiamo secondo la potenza umana, la quale è ignorante, infedele, cieca, però molto cose facili ci paiono difficili, molte riuscibili ci paiono non riuscibili, sia per inesperienza, sia per fanciullezza di mente: perchè fanciullo a me pare ogni uomo, per vecchio che ei sia, essendo assai breve il tempo della vita verso l’eternità. E come, o caro mio, non conoscendo la potenza degli Dei e dei Geni, potremmo noi dire quale cosa di queste è possibile, e quale impossibile? Vedesti, o Cherefonte, che tempesta fu l’altr’ieri? Fa terrore pure a ricordare quei lampi, quei tuoni, quella gran furia di vento: pareva dovesse subissare il mondo.
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