Però a molti parrà probabile che di quanto il mondo vince in grandezza Socrate e Cherefonte, di tanto la sua potenza, la sua sapienza, la sua intelligenza è maggiore della nostra. A te, a me, ed a molti altri come noi, molte cose sono difficili, che ad altri sono facili: infatti il sonare per chi non l’ha imparato, il leggere e lo scrivere per chi non sa di lettera, è più impossibile, mentre dura l’ignoranza, che il far degli uccelli donne, o delle donne uccelli. La natura depone nel favo un animaletto senza piedi e senz’ali, poi gli scioglie i piedi, gli mette le ali, lo dipinge di vari e bei colori, e ne fa l’ape, ingegnosa artefice del divino mèle: e dalle uova che sono mute ed inanimate ella forma tante specie di animali e volatili, e terrestri, ed aquatici, adoperando, come si dice, le sacre arti del grand’etere. Essendo adunque grande la potenza degl’immortali, noi che siamo mortali e pusilli, e non possiamo conoscere nè le cose grandi nè le piccole, e neppure quelle che accadono a noi stessi, noi non potremmo dire niente di certo nè degli alcioni, nè de’ rosignoli. Ma questa bella favola, come ce la raccontarono i padri nostri, così io la racconterò ai miei figliuoli, o uccello che canti con melodiosa voce di pianto: e con le donne mie Santippe e Mirto io loderò la tua pietà, e l’affetto che avesti a tuo marito, e dirò ancora quale onore te ne diedero gli Dei. E tu farai anche il simigliante, o Cherefonte?
Cherefonte. Conviene farlo, o Socrate: e quel che tu hai detto è bel consiglio di virtù per le mogli e pe’ mariti.
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