Prometeo. I’ lo sapeva, o Mercurio, e so ancora che ne sarò liberato: e già un Tebano verrà tra breve, un tuo fratello, e saetterà l’aquila che tu dici che sta per discendere.
Mercurio. Così fosse, o Prometeo! Io vorrei vederti già disciolto, al comune banchetto con noi, purchè tu non faccia lo scalco.
Prometeo. Sta certo: tornerò al banchetto vostro, e Giove mi discioglierà per compensarmi di un gran benefizio.
Mercurio. E quale? dimmelo.
Prometeo. Conosci Teti, o Mercurio? Ma non bisogna dirlo, è meglio serbare il segreto, affinchè sia prezzo e riscatto della mia condanna.
Mercurio. E serbalo, o Titano, se è meglio così. Noi andiamo via, o Vulcano, chè già l’aquila si appressa. Soffri da forte: oh, fosse già qui quell’arciero tebano, e ti togliesse allo strazio di questo uccello!
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VIII.
DIALOGHI DEGLI DEI.
1.
Prometeo e Giove.
Prometeo. Scioglimi, o Giove, che già ho patito assai.
Giove. Scioglierti? Tu avresti meritato catene più pesanti, e tutto il Caucaso sovra il capo, e sedici avoltoi non pure a roderti il fegato ma a scavarti gli occhi, perchè ci formasti quei begli animali che son gli uomini, e rubasti il fuoco, e facesti le donne. E dell’inganno fatto a me nello spartir delle carni, mettendomi innanzi alcune ossa coverte di grasso, e serbando il migliore boccone per te, che debbo dire?
Prometeo. E non basta ancora la pena che ho sofferta, da tanto tempo inchiodato sul Caucaso, nutrire del mio fegato la crudele aquila divoratrice?
Giove. Cotesto è niente verso di quello che tu devi patire.
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