Giove. Che fanciullo semplice ed innocente! e parmi ancora troppo fanciullo! Ma, o Ganimede, lascia stare tutte coteste cose, e scòrdati della greggia e dell’Ida. Tu che già sei uno de’ celesti, farai gran bene di qui ed al tuo babbo ed alla patria tua: ed invece del cacio e del latte, gusterai l’ambrosia, e berai il nèttare, e verserai bere a noi altri. E la più bella cosa è che tu non sarai più uomo, ma immortale: ed io farò risplendere bellissima la tua stella; e infine tu sarai beato.
Ganimede. E se vorrò giocare, chi giocherà con me? Sull’Ida eravam tanti compagni.
Giove. Anche qui avrai un compagno, che, vedilo, è Amore, e giocherete insieme a dadi. Però fà cuore, stà lieto, e non pensare alle cose di laggiù.
Ganimede. E che mi farete fare? avete bisogno d’un pastore anche qui?
Giove. No; tu mi mescerai, avrai cura del nèttare, e d’apparecchiare il convito.
Ganimede. Questo non m’è difficile; chè io so come si versa il latte, e come si serve nella tazza d’ellera.
Giove. E rieccolo al latte: egli crede di servire agli uomini. Qui è il cielo, e t’ho detto che noi beviamo il nèttare.
Ganimede. Ed è più dolce del latte, o Giove?
Giove. Lo saprai or ora; e quando l’avrai gustato, non desidererai più il latte.
Ganimede. E dove dormirò la notte? forse col mio compagno Amore?
Giove. No; i’ per questo t’ho rapito, per farti dormire con me.
Ganimede. Ah, non potresti star solo, e però hai piacere di dormire con me.
Giove. Sì: e poi tu se’ sì vago, o Ganimede, se’ sì bello!
Ganimede. E che ti fa la bellezza pel sonno?
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