Giove. Gli dà maggior dolcezza, lo fa venir più soave.
Ganimede. Eppure il babbo si dispiaceva quand’io mi corcavo con lui, e la mattina contava che io lo svegliavo rivoltandomi, dando calci, e parlando nel sonno: onde spesso mi mandava a dormir con la mamma. Or vedi, se tu dici di avermi rapito per questo, di ripormi in terra: se no, tu starai svegliato, chè io ti molesterò continuamente rivoltandomi.
Giove. Questo sarà il più gran piacere che mi darai, se io veglierò con te baciandoti spesso ed abbracciando.
Ganimede. Te lo vedrai tu: io dormirò, io, e tu bacerai.
Giove. Vedremo allora il da fare. Ora, o Mercurio, menalo teco, e fattagli bere l’immortalità, riconducilo a noi coppiere, che abbia prima imparato come si deve porger la tazza.
5.
Giunone e Giove.
Giunone. Dacchè, o Giove, menasti qui quel garzonetto frigio che rapisti dall’Ida, non ti dái più pensiero di me.
Giove. E già t’ingelosisci, o Giunone, anche di lui sì semplice ed innocentissimo? Io ti credevo acerba alle sole donne che s’impacciano con me.
Giunone. Sta male e sconviene a te, che sei signore di tutti gli Dei, lasciar me tua legittima moglie, e discendere su la terra a trescar con le donne, divenendo ed oro, e satiro, e toro. Almeno quelle tue pratiche rimangono in terra: ma questo fanciullo Ideo l’hai rapito, o fortissimo degli Dei, ce l’hai messo in casa, e proprio in capo a me sotto nome di coppiere. Forse ci mancavan coppieri, ed Ebe e Vulcano sono già vecchi ed inutili? Tu non prendi la coppa da lui, se pria non lo baci al cospetto di tutti; e quel bacio ti sa più dolce del nèttare; però spesso non hai sete, e chiedi bere; e talvolta appena assaggi, e gli ridai la tazza, e mentre egli beve, gliela ritogli, e bevi il rimanente dove il fanciullo ha attaccate le labbra, sicchè tu e bevi e baci.
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Mercurio Giove Giove Ida Giunone Ideo Ebe Vulcano
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