Prima non le vedevi queste cose: nè le scintille, nè la fucina ti facevan rivolger la faccia quand’egli ti porgeva bere.
Giove. O Giunone, tu affanni te stessa con cotesta gelosia, e niente più; e cresci l’amor mio. Se ti spiace un bel fanciullo per coppiere, abbiti il figliuol tuo. Tu, o Ganimede, a me solo porgerai la tazza, ed ogni volta mi darai due baci, uno quando me la presenterai piena, ed un altro quando la riprenderai. Che è questo? tu piangi? Non temere: chi ti vorrà punto di male, guai a lui.
6.
Giunone e Giove.
Giunone. Quest’Issione, o Giove, per che uomo lo tieni?
Giove. Dabbene, o Giunone, e convivante nostro. Non saria con noi, se fosse indegno del nostro banchetto.
Giunone. N’è indegno, perchè è un insolente, e non ci dev’essere più.
Giove. Che insolenza ha fatto? Parmi ch’io debbo saperla.
Giunone. Che altro che.... ma mi vergogno di dirlo; ha avuto un ardire troppo grande.
Giove. Ma così tu dici cosa molto più brutta che forse egli non ha tentato. Ha fatto vergogna a qualcuna? Capisco, questa sarà la turpitudine, che tu non vuoi dire.
Giunone. A me l’ha fatta, o Giove, a me proprio: e da un pezzo. Da prima io non capivo perchè egli mi guardava fiso, e sospirava, e imbambolava gli occhi, e se io beveva e rendeva la tazza a Ganimede, ei cercava bere in quella, e prendendola in mano la baciava, se la recava agli occhi, e mi guatava. Capivo poi che questi eran segni d’amore: e per molto tempo per pudore non lo dissi a te, e credevo che colui si torrebbe di quella pazzia.
| |
Giunone Ganimede Giove Issione Giove Giunone Giove Ganimede
|