Ma ora che ha ardito di richiedermi d’amore, io l’ho lasciato che piangeva e mi stava gettato ai piedi, e turatemi le orecchie per non udire il suo disonesto pregare, son venuta a dirtelo. Vedi tu come punire costui.
Giove. Bravo il malvagio! a me proprio? Sino a mia moglie Giunone? Cotanto ti ha inebbriato il nèttare? Ne siam cagione noi, che fuor di misura amiamo gli uomini, e li abbiamo fatti commensali nostri. Ma pure ei sono perdonabili se bevendo quel che beviamo noi, e vedendo le bellezze celesti, che non mai videro su la terra, desiderano di goderle, e ne son presi d’amore. Amore è forza grande, e signoreggia non pure gli uomini, ma talvolta anche noi altri.
Giunone. Signoreggia te, che ti fai guidare, menare, tirare pel naso, e lo segui dove egli vuole, e ti muti facilmente in ogni cosa secondo ei comanda, e sei una girandola, un trastullo in mano d’Amore. Ed ora intendo perchè vuoi perdonare ad Issione; una volta te ne godesti la moglie, la quale ti partorì Piritoo.
Giove. E ancora ricordi di qualche follia che ho fatto quando son disceso su la terra? Ma sai quel che penso per Issione? Non punirlo affatto nè discacciarlo dal convito, che saria una rozzezza. Ma giacchè egli è cotto d’amore, e, come tu di’, piange, ed ha gran passione....
Giunone. Che, o Giove? Vuoi insultarmi anche tu?
Giove. Niente affatto: ma faremo di una nube un’immagine simile a te, e poichè sarà finita la cena, ed egli come innamorato non potrà dormire, noi gliela porteremo a letto: e così gli cesserà la smania, credendo soddisfatto il suo desiderio.
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