Venere. Dici che temi di Pallade e della Gorgone, tu che non hai temuto il fulmine di Giove. Ma e le Muse perchè non sentono i tuoi dardi? forse anch’esse squassan le creste dell’elmo, e mostrano la Gorgone?
Amore. Le rispetto, o madre, perchè sono venerande, han sempre l’animo ai bei pensieri, e sono intese al canto: spesso mi accosto ad esse, tirato dai loro canti soavi.
Venere. Vada anche per queste perchè venerande. E Diana, perchè non la ferisci ?
Amore. Perchè non posso raggiungerla, che va sempre scorrendo pe’ monti: ma pure ella ha un certo amore.
Venere. E quale, o figliuolo?
Amore. Di cacciar fiere, e cervi, e cerbiatti, di seguitarli, di saettarli, ed è tutta in questo. Ma il fratel suo, tutto che valente saettatore anch’egli....
Venere. So, o figliuolo, che tu spesso l’hai saettato.
20.
IL GIUDIZIO DELLE DEE.
Giove, Mercurio, Giunone, Minerva, Venere, Paride.
Giove. O Mercurio, prendi questo pomo, và in Frigia, dal figliuolo di Priamo, che pasce i buoi sull’Ida nel Gargaro, e digli così: O Paride, Giove comanda che tu, il quale sei bello, ed intendi assai nelle cose d’amore, giudichi tra queste Dee, quale è la bellissima, ed ella in premio della vittoria si avrà il pomo. Ora potete voi stesse andare dal giudice. Non voglio esser io arbitro tra voi, perchè io vi amo egualmente, e, se fosse possibile, vorrei vedervi tutte e tre vincitrici: ma è forza dare ad una sola il premio della bellezza, e dispiacere le altre; però io non sarei buono giudice. Il giovanetto frigio, dal quale voi andate, è di sangue reale, e parente di questo Ganimede; e poi è un semplice montanaro, e nessuno lo terrebbe indegno di riguardarvi e giudicare.
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