Venere. Per me, o Giove, se tu ci dái anche Momo per giudice io sono pronta a presentarmegli. Oh, che potrebbe il ser appuntino appuntare a me?(50) A queste deve piacere quell’uomo.
Giunone. Neppur noi, o Venere, temiamo, ci fosse anche giudice il tuo Marte; ed accettiam, chiunque egli sia, questo Paride.
Giove. E a te che ne pare, o figliuola? che dici? Volgi la faccia, ed arrossisci? Così solete fare voi altre fanciulle: ma hai accennato di sì. Andate dunque, e le vinte non se la piglino col giudice, non si sdegnino, non facciano male al giovanetto. Ei non è possibile che siate tutte e tre belle egualmente.
Mercurio. Andiam diritto in Frigia: io vo innanzi, voi seguitemi tosto, e di buon animo: io lo conosco Paride, è un bel giovane ed affettuoso, e non ci ha chi meglio di lui diffinisca quistioni d’amore: e un’ingiustizia egli non la faria.
Venere. Assai mi piace questo che tu mi dì, che abbiamo un giudice giusto. È smogliato, o ha qualche donna seco?
Mercurio. Smogliato in tutto no, o Venere.
Venere. E come?
Mercurio. Parmi che abbia seco una donnetta Idea, non bruttina, ma che sente dell’agresto e del salvatico: egli poi non n’è tanto spasimato. Ma perchè mi fai questa dimanda?
Venere. Dicevo così a caso.
Minerva. Ehi tu, tu trapassi il dovere d’ambasciatore a parlar segretamente con costei.
Mercurio. Non dicevam niente di male, o Minerva, nè contro di voi: ella mi dimandava se Paride è smogliato.
Minerva. E perchè si piglia questo pensiero ella?
Mercurio. Non so: dic’ella, che me l’ha dimandato così a caso, non a posta.
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