Non fanno per me, o Minerva, le guerre e le battaglie: ora come vedi, tutto è pace in Frigia ed in Lidia, ed il regno di mio padre è tranquillo. Non temere però, nè sarai tenuta da meno, benchè io non giudico per doni. Ma rivèstiti, e riponti l’elmo: ho veduto a bastanza. Venga ora Venere.
Venere. Son qui a te vicino. Rimirami tutta a parte a parte, non tralasciar nulla, contempla le membra ad uno ad uno; ed ascoltami un poco, o bel giovane. Come prima io t’ho veduto così giovane e bello, che non so se in tutta Frigia ci sia uno eguale a te, io ho detto: o che bel garzone! peccato che tu non lasci queste rupi e questi sassi, e non vivi in una città, e fai appassire tanta bellezza in questo deserto! Che piaceri hai tu tra questi monti? che godono della tua bellezza i buoi? A te stava bene di tôrre una donna, non di queste rozze e salvatiche che sono sull’Ida, ma una Greca d’Argo, o di Corinto, o di Sparta, come sarebbe Elena, giovane e bella, nè punto da meno di me, e tutta amorosa. Ella se pur ti vedesse, ti dico io, lascerebbe tutto e si darebbe a te, e ti seguirebbe, e vorrebbe star sempre teco. Certamente anche tu avrai udito parlare di lei.
Paride. Niente, o Venere: ed ora con piacere t’udirei se tu me ne parlassi, e mi contassi ogni cosa.
Venere. Ella è figliuola di Leda, di quella bella, alla quale Giove discese mutato in cigno.
Paride. E che aspetto ha ella?
Venere. Ella è bianca, perchè nata di un cigno; ella è delicata, perché nutrita in un uovo; spesso va nuda, e si esercita nella palestra: ed è di così fina e ricercata bellezza, che fece nascere una guerra, quando ancor tenerella fu rapita da Teseo.
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