Pane. Io non ti fo vergogna, o padre; chè io son musico, e so sonar la siringa molto bravamente. Bacco non può far nulla senza di me, e mi ha fatto suo compagno ed agitatore del tirso, ed io gli guido i balli. Se tu vedessi le greggie mie, quante ne ho in Arcadia e sul Partenio, ne saresti assai lieto. lo sono signore di tutta Arcadia. Ultimamente pòrsi un grande aiuto agli Ateniesi, e combattei con tanto valore a Maratona, che in premio mi diedero una spelonca sotto la cittadella. Se talora vieni in Atene, vi udirai chi è Pane.
Mercurio. Dimmi, hai tolto moglie, o Pane? così mi pare che ti chiamino.
Pane. No, o padre: io son focoso, e non sarei contento di una.
Mercurio. E certamente abbranchi le capre.
Pane. Tu motteggi, io mi sollazzo con Eco, con Pite, e con tutte le Menadi di Bacco: e le mi vogliono un gran bene.
Mercurio. Sai, o figliuolo, che cosa mi farai gratissima, e che io richiedo da te?
Pane. Comanda, o padre; vediamo.
Mercurio. Vieni a me, ed abbracciami pure; ma guárdati di chiamarmi padre innanzi agli altri.
23.
Apollo e Bacco.
Apollo. E che diremo, o Bacco? che son fratelli nati d’una madre Amore, Ermafrodito, e Priapo, dissimilissimi tra loro per aspetto e per inclinazione? Uno tutto bello, e arciero, e rivestito di gran potere, è signore d’ogni cosa: l’altro è un personcino cascante, mezzo maschio, e a guardarlo non sai discernere se è garzone o donzella. Priapo ha quel del maschio anche troppo.
Bacco. Non è maraviglia, o Apollo. Non è Venere cagione di questo, ma i diversi padri che li han generati: anche da uno padre e da una madre spesso nascono chi maschio, e chi femmina, come voi due.
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