Apollo. Sì: ma noi siamo simili, abbiamo le stesse inclinazioni, ed ambedue trattiamo l’arco.
Bacco. Sino all’arco siete simili, o Apollo, e non più in là, chè Diana uccide forestieri in Scizia, e tu fai il profeta ed il medico.
Apollo. Credi tu che mia sorella goda a stare tra gli Sciti? Ella è deliberata, se capita qualche Greco in Tauride, di mettersi in mare e tornarsene con lui, essendole venute in orrore quelle uccisioni.
Bacco. Oh! così farà bene. Tornando a Priapo, ti dirò cosa da ridere. Non ha guari fui in Lampsaco, e passando per la città, egli mi accolse ed ospitò in casa sua, e poi che dopo il convito ce ne andammo a letto bene alticci, in su la mezza notte si levò il prode, e.... ma mi vergogno a dirlo.
Apollo. Ti tentò, o Bacco?
Bacco. Appunto.
Apollo. E tu che facesti?
Bacco. Che altro, che riderne?
Apollo. Bene: ei non c’era da pigliarsela a male. E poi è scusabile: ti vide sì bello, e ti tentò.
Bacco. Oh per questo tenterebbe anche te, o Apollo: tu se’ sì bellino e con sì bella chioma, che Priapo anche senza d’aver bevuto ti abbrancherebbe.
Apollo. Ma non m’abbrancherà no, o Bacco: chè io ho la chioma ed una buona saetta.
24.
Mercurio e Maia.
Mercurio. Ed evvi, o madre, un dio in cielo più infelice di me?
Maia. Non dir questo, o Mercurio.
Mercurio. Come non dirlo? se le faccende m’affogano, se io solo debbo affaticarmi, e non basto a tanti servigi? La mattina, come mi levo, debbo spazzar la sala del banchetto, e rifare il letto, e rassettato ogni cosa, esser pronto ai cenni di Giove, e andare su e giù per istaffetta tutto il dì portando suoi ordini: e tornato, ancor polveroso come sono, mettermi a preparare l’ambrosia.
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