Pagina (290/494)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Questo vi cuoce: perchè è segno ch’io sono dappiù, e più degna d’amore; e voi da non essere neppure guardate.
      Dori. Oh, paresti bella ad un pastore che ha un occhio, e credi di fare invidia? E che altro egli ha da lodare in te, se non che sei bianca? È usato a veder sempre cacio e latte; e tutto ciò che a questo somiglia gli pare bello. Se vuoi conoscere tu che viso hai, quando è calma, rimirati da uno scoglio nell’acqua, e vedrai non aver altro che un po’ di pelle bianca dilavata; nella quale che bellezza c’è, se non c’è un po’ d’incarnato?
      Galatea. Se io son dilavata, almeno ho un amante; ma voi non avete un can che vi voglia bene, nè pastore, nè marinaio, nè nocchiero. Ma Polifemo fra le altre cose è anche musico.
      Dori. Zitto, o Galatea; l’udimmo cantare quando testè venne a farti la serenata. O Venere cara, pareva un asino che ragghiava. E che sorte di cetera aveva egli? Un teschio di cervo scarnato: le corna eran le braccia della cetera: ei le aveva congiunte, vi aveva messe le corde, e senza tirarle coi bischeri, vi sonava e vi cantava rozzo e scordato: ei muggiva ad un tuono, e il colascione rispondeva a un altro: e noi non potevamo tener le risa all’udire quel rantolo amoroso. Neppure Eco, che è sì ciarliera, voleva rispondere a quel gorgogliare, e vergognavasi di parer imitatrice di così aspra e ridicola canzone. Il zerbino si portava in braccio un orsacchio, a guisa di cagnoletto, tutto peloso come lui. E chi vorrà invidiarti, o Galatea, cotesto innamorato?
      Galatea. E tu, dimmi il tuo, o Dori, che sia più bello, e sappia meglio cantare e sonare la cetera.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Primo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1861 pagine 494

   





Polifemo Galatea Venere Eco Galatea Dori