Alfeo. Veramente la conosci quella fontana, o Nettuno: or io me ne vado da lei.
Nettuno. Va pure; e buona fortuna in amore. Ma dimmi una cosa: dove mai tu vedesti Aretusa, se tu sei d’Arcadia, e di Siracusa ella?
Alfeo. Io ho fretta, e tu m’indugi, o Nettuno, con certe dimande che non ci han proprio che fare.
Nettuno. Dici bene: corri dalla tua diletta: e riuscendo del mare, mesciti in un letto con la fontana, e diventate entrambi un’acqua.
4.
Menelao e Proteo.(51)
Menelao. Che tu diventi acqua, o Proteo, non è incredibile, perchè sei marino: che diventi albero, può passare: che ti trasmuti in leone, ti si può credere; ma che tu possa diventar fuoco, stando tu nel mare, questa è maraviglia, e non la credo.
Proteo. Non è maraviglia, o Menelao: divento fuoco io.
Menelao. L’ho veduto cogli occhi miei, ma parmi, a dirla fra noi, che tu ci metta un po’ di magia, che tu inganni gli occhi altrui, e che non ti muti nè diventi niente di questo.
Proteo. Ma che inganno ci potria essere in cose sì chiare? Non hai veduto ad occhi aperti in quante cose mi son trasformato? Se non credi, se ti pare una menzogna, una illusion della vista, quand’io divento fuoco, appressami la mano, e saprai se io solamente paio, o se allora so anche bruciare.
Menelao. Non è sicura questa prova, o Proteo.
Proteo. Mi pare, o Menelao, che tu non hai veduto mai il polpo, nè sai la natura di questo pesce.
Menelao. Ho veduto il polpo; ma non so la sua natura, e volentieri l’udirei da te.
Proteo. A qualunque pietra attacca le sue boccucce, e l’afferra tra le sue branche, si fa simile a quella, trascolora la pelle mutandola nel color della pietra, e così si nasconde ai pescatori non trasmutandosi nè comparendo qual’è, ma sembrando simile alla pietra.
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