Anfiloco. E che colpa ci abbiam noi, se essi per ignoranza credono queste cose dei morti?
Menippo. Ma non le crederiano, se voi, quand’eravate vivi, non foste stati impostori, spacciando di conoscere il futuro, e di poterlo predire a chi ve ne richiedeva.
Trofonio. O Menippo, questo Anfiloco risponda per sè quel che gli pare: per me io ti dico ch’i’ sono un eroe, e rendo oracoli a chi viene da me. Tu parmi che non se’ stato mai in Livadia: chè non saresti così incredulo.
Menippo. Che di’ tu? Se io non vado in Livadia, se io non mi vesto di lino in modo ridicolo, e con una focaccia in mano io non entro carponi per la stretta buca nella spelonca, io non posso conoscere che tu non sei altro che un morto, come tutti noi altri, della impostura in fuori? Ma, deh, pel tuo oracolo, dimmi che cosa è l’eroe? chè io nol so.
Trofonio. Un composto di uomo e di Dio.
Menippo. Vuoi dire che non è nè uomo nè Dio, ed è tuttadue? E quella tua metà ch’era dio, dove l’hai lasciata ora?
Trofonio. A rendere oracoli in Beozia, o Menippo.
Menippo. Io non so tu che diamine dici, o Trofonio: tu sei tutto morto, ed io lo vedo benissimo.
4.
Mercurio e Caronte.
Mercurio. Facciamo un po’ il conto di quel che mi devi, o navicellaio, affinchè dipoi non s’abbia a contendere.
Caronte. Facciamolo, o Mercurio: chè è meglio chiarirlo, e non pensarvi più.
Mercurio. Mi hai commesso l’áncora, l’ho portata per cinque dramme.
Caronte. È troppo.
Mercurio. Per Plutone, cinque ne ho snocciolate; e due oboli per un volgitoio di remo.
Caronte.
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