Menippo. Vuoi che gli mozzi un po’ delle sopracciglia?
Mercurio. Sì: ei le alza fin sopra la fronte, gonfiandosi non so perchè. Ma che è? Tu piangi, o vigliacco? la morte ti fa paura? Entra pure.
Menippo. Bada: ha un’altra cosa assai pesante sotto l’ascella.
Mercurio. E quale, o Menippo?
Menippo. L’adulazione, o Mercurio, che nella vita gli valse tant’oro.
Filosofo. E tu, o Menippo, anche tu deponi la parlantina, la franchezza, il buon umore, il motto, il riso: chè solo tu ridi fra tutti gli altri.
Mercurio. No: ritienile queste cose: le son vuote, leggiere, e buone pel navigare. E, tu, o Retore, deponi tanti paroloni, e contrapposti, e cadenze eguali, e periodi, e barbarismi, e le altre pesantezze del discorso.
Retore. Ecco, le lascio.
Mercurio. Ora va bene. Sciogli la gomena, tiriam su la scala, leviamo l’áncora, apri la vela, dirizza il timone, o nocchiero, e andiamo. Perchè piangete, o sciocchi? massime tu, o filosofo, testè sbarbazzato?
Filosofo. Perchè credevo, o Mercurio, l’anima essere immortale.
Menippo. Ei mente per la gola: ben altro lo accora.
Mercurio. E che cosa?
Menippo. Che non isguazzerà più ne’ sontuosi banchetti, non più uscirà di notte tutto incappucciato per non farsi conoscere, a girar pe’ bordelli; nè più la mattina ingannerà i giovani vendendo la sapienza a danari. Questo lo accora.
Filosofo. E a te, o Menippo, non dispiace che sei morto?
Menippo. Che dispiacere? io andai incontro alla morte che non mi chiamava. Ma mentre parliamo non udite voi un rumore come di gente che grida su la terra?
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